LA MEDAGLIA MAREMMANA A GARIBALDI

di Gianpiero Caglianone

L’iniziativa dei patrioti maremmani di dedicare nel 1875 una medaglia commemorativa al loro nume tutelare Giuseppe Garibaldi, in ricordo dello strettissimo legame che li aveva uniti nelle lotte per l’indipendenza italiana e contemporaneamente sostenerlo nelle non meno dure battaglie parlamentari, nacque a Follonica, per opera dei patrioti legati al circolo del massone e mazziniano Niccola Guerrazzi[1], personaggio di primo piano del Risorgimento maremmano. In realtà, lungi dall’essere elemento di condivisione e di unione anche politica dei democratici locali, costituì fin dall’inizio piuttosto elemento di divisione e di dissenso fra di loro, a partire dalle note di sottoscrizione da aprirsi e dall’iscrizione che la medaglia avrebbe dovuto recare e che vide una lunga discussione in seno alle varie correnti che costituivano l’ambiente democratico maremmano. Una parziale ma significativa corrispondenza, intercorsa tra i promotori dell’iniziativa, dalla quale si comprendono anche le sfumature di contrasto che sorsero riguardo al progetto della medaglia, si snoda fra Massa Marittima, allora centro principale dell’Alta Maremma e sede della maggiore presenza repubblicana della provincia, e le sue frazioni di Monterotondo e Follonica. Gli interlocutori di questa vicenda, che cercheremo di ripercorrere per quanto reso possibile dalla documentazione rimasta, sono il Dr. Apollonio Apolloni[2], medico e massone massetano originario di Montelaterone (Arcidosso), sicuramente uno dei maggiori esponenti mazziniani e garibaldini massetani e Domenico Pallini[3], altro massone e repubblicano mazziniano, forse il più influente e capace organizzatore della futura democrazia repubblicana locale, anche se all’epoca, ventottenne, non ancora pienamente affermato tra i suoi ranghi. Il carteggio incrociato tra i vari protagonisti della vicenda mostra tra l’altro quanto fosse stato difficoltoso, oltre che trovare l’accordo fra tutti i democratici maremmani sulla partecipazione all’iniziativa, anche solo convergere su un’iscrizione che contentasse tutti e che in poche parole “sviluppasse un intero concetto”, legato alla volontà di onorare e sostenere politicamente Garibaldi e le sue iniziative di pace da parte dei vecchi “amici d’azione” maremmani, come scriverà l’Apolloni al follonichese. Anche il ruolo e il suggerimento letterario di una figura femminile, la moglie di Guerrazzi, Adele Mazzoni[4], come spesso accade nel periodo risorgimentale rimasto sullo sfondo e quasi marginalmente rammentato, contribuirà invece a dare la spinta decisiva all’Apolloni per comporre l’epigrafe tanto controversa, mutuata alla fine, grazie alle reminiscenze classiche del medico massetano, dalla notissima canzone all’Italia di Francesco Petrarca[5].

Le premesse di questa iniziativa maremmana erano state fin da subito laboriose: originariamente il Guerrazzi pensava di realizzare ed inviare la medaglia a Garibaldi come dono particolare dei democratici follonichesi (come appare evidente dal nome Follonica da incidersi sulla medaglia) ma chiese comunque suggerimenti sul testo dell’epigrafe da comporsi al Dr. Apolloni che rispose[6] esprimendo le sue osservazioni e fornendo al Guerrazzi oltre ad una possibile traccia sul testo anche preziosi consigli politici, come quelli invitanti all’unione di tutti i democratici maremmani in funzione anche degli sviluppi futuri della politica nazionale nell’ottica democratica. Vale la pena di ricordare, nella illustrazione di questo dimenticato episodio, che i rapporti fra Guerrazzi e Apolloni avevano sfiorato la rottura all’epoca della spedizione garibaldina di Farnese (1867) in seguito alla quale i due maremmani erano arrivati a un passo dallo sfidarsi a duello; solo più tardi sarà possibile ricomporre quel dissidio personale, insieme ai loro rapporti, grazie soprattutto ai buoni uffici dei compagni di fede repubblicana e alla comune appartenenza di tutti alla Massoneria. Al momento del progetto della medaglia, otto anni dopo le vicende di Farnese, sembrava effettivamente che la disputa fra due dei protagonisti maggiori della democrazia provinciale fosse davvero ormai realmente superata.

L’occasione invece del dono maremmano nasceva ancora una volta dalle intuizioni di Garibaldi, dal suo spirito umanitario e pacifista, che nel 1873 aveva fatto sua la petizione presentata dall’inglese Sir Henry Richard, segretario della Società per la pace, alla Camera dei Comuni londinese col supporto della firma di oltre duecentomila operai inglesi, in cui invitava il parlamento britannico a farsi promotore di un’Alta Corte Internazionale, dove comporre pacificamente i conflitti tra le nazioni scongiurando le occasioni di guerra. Garibaldi, entusiasta della proposta, si fece allora portatore dell’adesione di tutte le Società Operaie e democratiche d’Italia all’iniziativa. Questo il motivo per cui nella medaglia doveva figurare, come poi avvenne, il motto Pace Pace Pace – Ei va gridando, riferito all’Eroe. Garibaldi del resto aveva già proposto il 9 settembre 1867 al Congresso di Ginevra della Lega della pace e della libertà, dove fu accolto trionfalmente e nominato Presidente Onorario (tra partecipanti come l’anarchico Bakunin, storici come Edgar Quinet, filosofi materialisti come il Buchner o il sansimoniano Pierre Leroux) un piano in dodici punti di carattere decisamente utopistico: 1) Tutte le nazioni sono sorelle 2) La guerra tra di loro è impossibile 3) Tutte le contese che sorgeranno tra le nazioni dovranno essere giudicate da un Congresso… I congressisti rimasero stupefatti del piano di Garibaldi, ma egli, incurante delle critiche e delle polemiche seguite al suo discorso e alle sue proposte, abbandonò il Congresso l’11 settembre per rientrare in Italia e preparare la spedizione garibaldina nello Stato Pontificio che si sarebbe conclusa con la sconfitta di Mentana. A questa spedizione parteciperanno tutti e tre i protagonisti della vicenda della medaglia: Apolloni, Guerrazzi e Pallini (appena diciannovenne). L’entusiasmo del 1873 per l’iniziativa di Richard aveva dunque un suo preciso antecedente nel pensiero di Garibaldi, che anche nel 1872 aveva scritto a Bismarck e all’imperatore di Germania Guglielmo I in tal senso prefigurando come a Ginevra, con molto anticipo sui tempi, una sorta di Società delle Nazioni e di ONU, ciò che avverrà solo molto tempo dopo questo momento storico. Già lo scrivere a Bismarck, che aveva giurato vendetta contro i volontari di Garibaldi per lo smacco subito l’anno prima dall’esercito prussiano contro l’Eroe (unico ad uscire vincitore dal confronto durante il contemporaneo naufragio dell’esercito francese contro i prussiani nella guerra del 1870 – 71) dà un’idea di come Garibaldi non si rendesse conto, o non volesse rendersi conto, di come funzionassero le cancellerie europee. Il che non toglie per altro alcun merito al grande pensiero umanitario del Nizzardo.

[1] Niccola Guerrazzi era nato a Palaia (Pisa) il 16/5/1836 e morì nel 1912 a Follonica, dove prese residenza fin dal 1865 e dove fu anche impiegato agli stabilimenti della Magona. Combatté nella II Guerra d’indipendenza (1859), al Volturno nel 1860, nella III Guerra d’indipendenza (1866) e partecipò nel 1867 alla invasione garibaldina dello Stato Pontificio.

[2] Apollonio Apolloni nacque a Montelaterone (Arcidosso) il 27/11/1831 e morì a Pisa il 4/7/1904. Ufficiale medico, partecipò a tutte le imprese con Garibaldi nelle guerre per l’indipendenza d’Italia.

[3] Domenico Pallini nacque a Massa Marittima il 3/5/1847 e vi morì il 21/11/1910. Volontario nella III Guerra d’indipendenza, partecipò alla spedizione garibaldina nello Stato Pontificio del 1867.

[4] Figlia di Giuseppe, nel 1875 Gran Maestro della Massoneria Italiana ed ex Triumviro Toscano del 1849 insieme ai più celebri Francesco Domenico Guerrazzi e Giuseppe Montanelli.

[5] La canzone del Petrarca termina infatti con i versi ripresi dall’Apolloni: “I’ vo gridando: Pace, pace, pace”.

[6] Lettera autografa di A. Apolloni a N. Guerrazzi, da Pisa, 10 Febbraio 1875 (copia in Archivio Privato Caglianone).